Caro Don Antonio, mi permetto di dissentire. Innanzitutto, non mi sembra che Marco Foppoli abbia voluto disconoscere il valore delle recenti ricerche sulle origini dell'araldica, come invece hai fatto tu nel tuo intervento, in particolare quando scrivi:
Sono d'accordo [...] nel ritenere che questi studi non apportino nulla di particolarmente nuovo rispetto a quanto assunto negli ultimi tre decenni
Nel tuo Manuale di araldica ecclesiastica, uscito nel 2014, riprendendo quasi alla lettera la teoria del Pastoureau, tu scrivi:
È opinione assai diffusa tra gli studiosi che i primi stemmi fecero la loro comparsa nella prima metà del XII secolo, un pò dappertutto in Europa occidentale (ma soprattutto nelle regioni fra la Loira e il Reno), a partire dal mondo cavalleresco e militare, come segno di identificazione individuale e, in seguito, familiare. La comparsa degli stemmi, se in generale fu inevitabilmente legata alle trasformazioni della società occidentale all'indomani dell'anno mille, in modo particolare derivò dalla necessità pratica di essere riconosciuti dai compagni d'armi in conseguenza dell'evoluzione dell'equipaggiamento militare verificatasi dalla fine dell'XI secolo. Resi praticamente irriconoscibili da un elmo che racchiudeva completamente il capo lasciando limitata la capacità visiva, i cavalieri acquistarono progressivamente l'abitudine di far dipingere sulla superficie del loro scudo figure geometriche, animali o floreali, che potessero servire da segno di riconoscimento sui campi di battaglia come pure nei tornei.
Due anni prima era uscito lo studio di Hablot e prima ancora quelli di R. Jones (
Bloodied Banners: Martial Display on the Medieval Battlefield) e A. Ailes (
The knight, heraldry and armour: the role of recognition and the origins of heraldry), che contestavano questa ipotesi.
Ma andiamo con ordine.
1) Innanzitutto non è vero che i primi stemmi apparvero
"un po' dappertutto in Europa occidentale". L'analisi critica del corpus dei primi sigilli araldici mostra che l'apparizione dei primi stemmi avvenne in un quadrante molto preciso e omogeneo dell'Europa (nord della Francia e sud dell'Inghilterra). I primi portatori di stemmi, inoltre, appartenevano allo stesso milieu aristocratico, vale a dire a quello dei grandi feudatari legati ai conti di Vermandois (aristocrazia di origine carolingia, quindi) e alla loro rete di parentela. Solo successivamente si verificò un'estensione al sud dell'Europa, ma con tempi molto più lenti di quello che solitamente si crede. La visione paneuropea che ne dai tu, ripresa dal Pastoureau, non ha ormai alcun fondamento scientifico.
2) Non è vero, inoltre, che i primi stemmi erano un
"segno di identificazione individuale". Sin dalle origini è la famiglia che trionfa. Anche in questo caso l'analisi critica dei primi sigilli lo dimostra in maniera inequivocabile: Vermandois, Meulan, Clare, ecc. Il fatto, caro Don Antonio, è che rispetto ai tempi di Pastoureau altri sigilli sono stati scoperti ed altri ancora, citati dallo stesso Pastoureau e da altri araldisti del passato, sono stati oggetto di analisi critica più rigorosa.
3) Infine, non è dimostrato che i primi stemmi nacquero
"in conseguenza dell'evoluzione dell'equipaggiamento militare", allorché i cavalieri,
"resi praticamente irriconoscibili da un elmo che racchiudeva completamente il capo lasciando limitata la capacità visiva, acquistarono progressivamente l'abitudine di far dipingere sulla superficie del loro scudo...". La cotta di maglia e il casco conico a nasale rendevano già irriconoscibili i combattenti nella battaglia di Hastings, come si vede nell'arazzo di Bayeux (nel quale, tra l'altro, la decorazione araldica non ha alcun valore emblematico, ma solo ornamentale). Perché, allora, "inventare" l'araldica quasi cento anni dopo? L'analisi critica delle fonti (soprattutto narrative e letterarie) dimostra che nel campo di battaglia medievale ciò che garantiva un' immediata riconoscibilità erano i segni vessillari dei capi militari, i gridi d'arme e certi segni collettivi (ad esempio lo stesso colore per lo stesso gruppo). Nel campo di battaglia del XII secolo un "normale" cavaliere non si sarebbe mai sognato di inalberare le sue insegne araldiche. Solo i capi militari avrebbero potuto farlo e solo in seguito i cavalieri banderesi ne ripresero l'uso, ispirandosi alle armi dei loro patroni. Ciò che contava davvero era la coerenza visiva del gruppo, non la riconoscibilità individuale di ciascun cavaliere. Il grande scudo a mandorla armeggiato non è mai stato un elemento decisivo per il riconoscimento nel campo di battaglia: la sua incurvatura crescente, il suo angolo di lettura limitato (solo l'osservazione di faccia, cioè a partire dal campo avverso, avrebbe potuto in effetti garantirne l'immediata riconoscibilità) e la possibilità che potesse danneggiarsi a seguito dei colpi subiti gli impedivano di avere un ruolo pratico in tale circostanza. La stessa araldizzazione della panoplia dei capi militari non riguardò solo lo scudo, una tutta una serie di supporti (vessilli armeggiati, selle, gualdrappe) destinati a fare di lui un vero e proprio punto di riferimento visivo. Nel campo di battaglia, quindi, la funzione pratica legata al riconoscimento dello scudo armeggiato era molto debole.
Tu parli giustamente dei tornei, ma questo fenomeno di araldizzazione dell'insieme della classe cavalleresca, legato sicuramente alla pratica dei tornei, si completa solo nel corso del XIII secolo. Se lo scudo armeggiato si diffuse all'insieme della classe cavalleresca e, in seguito, a tutta la società medievale fu per motivi simbolici e non pratici.
Tutti questi nuovi elementi erano sconosciuti fino a qualche anni fa.
In conclusione, dire che i più recenti studi, la cui importanza e la cui validità sono stati riconosciuti anche dallo stesso Pastoureau, non aggiungano nulla di particolarmente nuovo significa, a mio avviso, disconoscere il valore della ricerca scientifica. Nonostante la stima che nutro per te e per le tue ricerche, quello che hai scritto nel tuo Manuale, uscito non tre decenni fa, ma nel 2014, è abbastanza traballante alla luce delle più recenti ricerche.
Che gli albori dell'araldica siano stati sui campi di battaglia ma che poi bisognerà aspettare i tornei perché il fenomeno araldica possa dirsi pienamente configurato, penso possa essere dato poco discutibile.
Detto così può essere condivisibile, ma molti aspetti nel frattempo sono stati precisati, corretti, definiti. Occorre, dunque, conoscerli e correggere il tiro.