da Emanuele Pigni » giovedì 3 febbraio 2005, 10:05
Stimatissimo fra' Eusanio,
in realtà i casi analoghi non furono pochi. Trascrivo dall'introduzione allo stesso mio "Armoriale del Regno italico" in corso di stampa:
Le istruzioni [del Consiglio del sigillo dei titoli] 20 giugno 1810 contengono inoltre alcune disposizioni generali sulla composizione del blasone: il Consiglio del sigillo dei titoli non poteva «riconoscere le armi gentilizie o di famiglia ottenute ed usate in qualunque modo nell'antico sistema» (nonché, evidentemente, le armi personali prenapoleoniche), né permettere che fossero conservate nella stessa forma, ma gli impetranti potevano formulare, nella supplica diretta ad ottenere le lettere patenti, «le loro idee sul completamento dello scudo, riproducendo anche una parte dell'antico blasone per que' riguardi, che il Consiglio giudic(asse) di potervi avere nella proposizione a S. M.»; erano assolutamente esclusi dagli stemmi le corone, «le quali di loro natura sono incomunicabili al suddito, come la sovranità di cui presentano l'emblema» (unica eccezione, la corona ferrea segno d'origine per i cavalieri del Regno membri dell'Ordine della Corona di ferro), le aquile, i gigli, i leoni e in generale tutti gli elementi presenti nelle armi imperiali francesi o in quelle reali italiane, nonché ogni motto o insegna che richiamasse formalmente un'azione od un luogo determinato, a meno che il Re non l'avesse autorizzato motu proprio nel decreto di nomina.
L'esclusione dalle armi dei titolati del Regno di varie figure che Napoleone si era riservato impedì che il biscione visconteo potesse essere concesso al duca Visconti di Modrone, o al conte Visconti, o al duca Litta Visconti Arese, o al conte Bossi Visconti, quantunque esso fosse inserito nell'arma del barone dell'Impero Sopransi (il cui defunto patrigno era stato un Visconti, fratello del citato conte del Regno) e del cavaliere dell'Impero Ennio Quirino Visconti (estraneo alla casa degli antichi signori e duchi di Milano). Il barone d'Este non poté ottenere nessun elemento dell'antico stemma della sua casa. D'altra parte, le api - che in Francia erano riservate all'Imperatore e ai principi gran dignitari - potevano essere concesse liberamente ai titolati del Regno, come dimostrano le armi del conte Chiaramonti (ciambellano), del generale barone de Meester Hüyoel, del conte Melano Portula (arcivescovo e senatore) e quella ottenuta dal generale Fontanelli, ministro della Guerra, come conte del Regno. In vari casi le figure presenti negli antichi stemmi dei titolati che non erano accettabili nel nuovo sistema araldico furono adattate: l'aquila poteva diventare un falcone (armi Nava [Tommaso Camillo] e Offredi); il leone poteva diventare un leopardo illeonito (armi Alessandri, Ancini, Castiglioni, Guerrieri e Mulazzani); i gigli si potevano trasformare in ferri di lancia (armi di Breme [Lodovico Maria Gabriele] e Isimbardi), rose (armi Quirini [Alvise Angiolo] e Quirini Stampalia [Alvise]), palme (arma Bazzetta) o anche api (arma Fontanelli suddetta). In altri casi, però, titolati che potevano vantare importanti tradizioni familiari in materia araldica ricevettero armi completamente nuove (Melzi d'Eril duca di Lodi, il conte Marescalchi, ecc.).
Con i miei più cordiali saluti.
Emanuele Pigni