“Coutumes et Droit héraldiques de l'Église”

Discussioni ed informazioni sui tutti i testi che si possono reperire di araldica, genealogia, storia di famiglia, ordini cavallereschi e sistemi premiali / Discussions and information regarding all available texts on heraldry, genealogy, family history, orders of chivalry and systems of merit

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Re: “Coutumes et Droit héraldiques de l'Église”

Messaggioda Romegas » sabato 15 febbraio 2014, 16:00

Mi scusi Presidente, visto che gli ordini cavallereschi sono un retaggio del passato e l'araldica finirà per diventare parte della storia dell'arte e basta, allora noi e questo forum cosa ci stiamo a fare? Il suo, mi permetta, mi sembra un discorso masochistico. Secondo me, l'araldica deve avere un futuro mantenendo le sue tradizioni, altrimenti si non c'e' futuro. Devo essere sincero, il suo intervento, che solo in parte condivido, mi ha lasciato di sasso, forse è perché questa disciplina la coltivo da quando ero fanciullo e non voglio vederla morire.
Sub hoc signo militamus
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Re: “Coutumes et Droit héraldiques de l'Église”

Messaggioda pierfe » sabato 15 febbraio 2014, 17:59

piero59 ha scritto:Mi scusi Presidente, visto che gli ordini cavallereschi sono un retaggio del passato e l'araldica finirà per diventare parte della storia dell'arte e basta, allora noi e questo forum cosa ci stiamo a fare? Il suo, mi permetta, mi sembra un discorso masochistico. Secondo me, l'araldica deve avere un futuro mantenendo le sue tradizioni, altrimenti si non c'e' futuro. Devo essere sincero, il suo intervento, che solo in parte condivido, mi ha lasciato di sasso, forse è perché questa disciplina la coltivo da quando ero fanciullo e non voglio vederla morire.


Se legge e partecipa a questo forum, l`Italia ha 2 prestigiose riviste Nobilta` e Il Mondo del Cavaliere, e` perche` stiamo facendo con tutte le nostre forze quello che e` possibile per tutelare, rispettare, dare un senso attuale a questo mondo che e` diventato anacronistico con persone che non hanno una preparazione scientifica per costruire qualcosa che possa avere ancora un senso.
Se non vediamo nuove soluzioni e diamo idee (ad esempio valore legale agli stemmi dei prelati minori per essere in tema con il topic) questo ``mondo`` sarebbe gia` morto... ci pensi e mi dica se c`e` qualcun altro che GRATUITAMENTE e senza altri scopi lavora come noi? Sono curioso.
Tutto quello che scompare perche` non attuale puo` avere delle strade valide e percorribili e noi diamo validi spunti (ad esempio Famiglie Storiche per Famiglie Nobili in un Paese dove la nobilta` non puo` essere tutelata) e via discorrendo, pensi non sono intervenuto nella discussione sulle prove nobiliari del XXI secolo perche´ priva di coerenza scientifica... ad esempio si accetta una nobilta` solo per discendere da una famiglia nobile e si dimentica che per quelle stesse prove si doveva vivere nobilmente possedendo una alta posizione sociale, non si poteva avere ascendenze adulterine (intendo non si accettava figli e nipoti di divorziati per parlare come si dice oggi... e peggio...), vede lo studio scientifico della materia apre gli occhi.
In ultimo e che dire dell`ICOC Register che cerca di salvare tutto il possibile che si puo` salvare? Pensa che altri avrebbero permesso indicazioni come `in disputa` o trovato soluzioni per sistemi premiali che non sono per gli studiosi ordini cavallereschi? Mi creda l`ICOC dal 1999 é sopra le parti ed onesto!
Poi infine mi sembra per quello che leggo e per la sua identificazione lei e` parte attiva del nostro operato e questo mi fa orgoglioso, e fra persone come noi si puo` sempre discutere per crescere insieme.
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Re: “Coutumes et Droit héraldiques de l'Église”

Messaggioda marco foppoli » sabato 15 febbraio 2014, 21:19

Sono assolutamente d'accordo con quest'aspetto, uno stemma ecclesiastico non è un obbligo, ed infatti per esperienza so che una committenza consapevole delle sue potenzialità comunicative, rappresentative ed evocative, è la base migliore per avere emblemi ben fatti.

L'avvento del "logo vescovile" che si evoca come possibile mutazione prossima, e lo potrebbe essere, - argomento che è stato oggetto dei miei interventi in questa discussione - apre la stada all'assoluta indeterminazione, alla vaghezza rappresentativa più totale perchè graficamente un logo può essere qualsiasi cosa come il suo contrario, non avendo un "logo" nessun vincolo grafico.

Così ove si affermi che un vescovo possa in futuro rifiutare l'uso di uno stemma per un logo, si dirà una cosa possibile e legittima, ma ove questo diventasse non un' "originalità", o un vezzo - come talvolta mi appaiono queste scelte in "opposizione a priori" - apre di fatto la strada alla cancellazione di quella uniformità emblematica, che con l'araldica consente la chiara riconoscibilità di un ufficio ecclesiastico; ogni stemma prelatizio infatti è unico, del singolo, ma in qualsiasi parte del mondo sia usato, si riconosce e si incasella, per gli stilemi comuni e il linguaggio grafico consolidati da secoli, come appartenente all'unico corpo simbolico della Chiesa.
Ovviamente questo ha come assunto il riconoscere le molteplici necessità rappresentative collegate all'esercizio di un ufficio ecclesiastico. Per capirci, lo stemma vescovile non è una bizzarra creazione; se ci appare subito il valore simbolico e comunicativo per il suo titolare, non da meno sono le "necessità rappresentative" che soddisfa nelle infinite applicazioni per l'esercizio di quell'ufficio. C'è dunque una funzione rappresentativa che lo stemma soddisfa. Può essere svolta da un logo? Certamente ma...

L'assunzione di "loghi liberi" porterebbe ad una proliferazione visiva "cacofonica", perchè priva di qualsiasi tratto distintivo comune, un sistema di comunicazione grafico-rappresentativo irriconoscibile come parte di una "casa comune" se non per il suo generico aspetto "religioso". Ogni vescovo facendo a se assumerà come suo emblema qualsiasi immagine che gli passi per la testa, cancellando quel linguaggio unico che può esistere - piaccia o non piaccia - solo grazie all'araldica ecclesiastica. Questa consente la più totale libertà espressiva e rappresentativa del singolo che con poche regolette nello stemma può inserire praticamete tutto ciò che desidera come sappiamo, ma una libertà espressiva incasellata in quella "gabbia grafica" che ben conosciamo: uno scudo, una croce, un copricapo tradizionale riconoscibile per colori e aspetto.

Si potrà dire che questo sistema grafico, ordinato e allo stesso tempo libero e ricco di fascino evocativo e di molte utilità non debba essere più praticato e consegnato allegramente all'archeologia e alla storia, tra le tante pratiche della nostra Tradizione più profonda da gettare alle ortiche senza troppi dubbi e domande.
Personalmente invece ritengo che accanto all'aspetto culturale e simbolico che non è poco cosa, soddisfi ancora, e molto bene, anche molte funzioni rappresentative che l'esercizio di un ufficio ecclesiastico richiedono.

Mi scuso della lunghezza e con questo termino di annoiarvi, certo di avere chiarito qualche mia opinione su "stemma vs. logo" :D

Buona sera a tutti,

Marco Foppoli
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Re: “Coutumes et Droit héraldiques de l'Église”

Messaggioda GENS VALERIA » mercoledì 19 febbraio 2014, 16:01

pierfe ha scritto: (...) pensi non sono intervenuto nella discussione sulle prove nobiliari del XXI secolo perche´ priva di coerenza scientifica... ad esempio si accetta una nobilta` solo per discendere da una famiglia nobile e si dimentica che per quelle stesse prove si doveva vivere nobilmente possedendo una alta posizione sociale, non si poteva avere ascendenze adulterine (intendo non si accettava figli e nipoti di divorziati per parlare come si dice oggi... e peggio...), vede lo studio scientifico della materia apre gli occhi (...)


Da incurabile fustigatore delle mie ed altrui incoerenze , munito di solida formazione scientifica, rileggevo e meditavo ...

Sul vivere nobilmente abbiamo versato fiumi d'inchiostro a proposito ed a sproposito ma credo che nessuno , oggi , intenda vivere in un castello dedicandosi, per passare il tempo, all'uccellagione col falcone ed ad insidiare la virtù delle fanciulle del borgo.

Oggi, modernamente, si intende vivere con sobria eleganza , avere occupazione seria e stimata , cultura superiore, atteggiamenti leali e composti, frequentazioni con chi manifesta simili caratteristiche, massima cordialità con tutti.

La sociologia è una scienza ed i sociologi ci dicono che non c'è nulla di più fluido e dai confini sfumati della c.d. “posizione sociale” , nel tempo e nel luogo :
Quello che rappresentavano il maresciallo dei Carabinieri ,il farmacista ed il parroco di un paese anni '30, un laureato che possedeva un' automobile negli anni '50 era il top sociale , con gli standard attuali fa sorridere non poco , considerando l'attuale livellamento culturale e sociale , l'élite viene identificata con un proprietario di una catena di “nigth” che gira in pareo e infradito o nell'amministratore delegato che si presenta al Quirinale indossando un maglione.

Volendo essere più scientifici è sufficiente sul tema “disuguaglianza”, considerare la differenza, studiata sui libri di sociologia, tra ceto e classe :
Il ceto o “status” ( nobiliare ) emana , prima ancora di risorse economiche e potere , quelle qualità comunemente definite: prestigio e onore.
In virtù della presenza di queste caratteristiche è il ceto che definisce la c.d. posizione sociale, mentre la classe ( es. di governo ) viene definita dalla posizione sociale .

Mi viene in mente quell'uomo politico che nel giro di pochi mesi ha perso la presidenza del governo , la segreteria del partito ed ora è un dirigente politico tra i tanti , sic transit gloria mundi .

Negli Ordini cavallereschi dinastici , l'ingresso , in particolare nelle categorie nobiliari è oggi molto più severa e selettiva di quella , un po' ... permissiva, che vigeva decenni fa , scrivo per mia personale esperienza .
Oltre ad una autentica vocazione religiosa , vengono valutate una serie di caratteristiche sociali .
Inoltre, l'assenza di ascendenze non cristiane ed "adulterine" viene certificata dalla presentazione degli atti di battesimo e di matrimonio religioso degli avi per un minimo di centocinquanta anni .

Sergio de Mitri Valier
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