a
pierluigicIdamante ha scritto:Nel mio messaggio dicevo: "l’ordinamento sociale veniva fatto discendere da Dio". Veniva fatto discendere; non discendeva direttamente. Mi premeva sottolineare in quel contesto quale fosse in antico la concezione formale dietro l'organizzazione piramidale della società e della nobiltà. Tutto qui.
Non ho mai affermato che tale ordinamento discendesse effettivamente da Dio. A costo di essere pedante: evidenziavo soltanto quello che era il pensiero alla base della organizzazione sociale ora superata.
Riguardo al legame, a suo dire inscindibile, tra cromosoma Y e cognome, tutta la discussione sviluppatasi ha evidenziato come oggigiorno quel legame sia venuto meno, se non altro nel suo automatismo. Non vorrei tanto esprimere opinioni, vorrei solo che si fotografasse la realtà. Realtà giuridica e sociale. E la realtà è la seguente: il nuovo diritto di famiglia, costruito sulle prassi sociali, ha ampliato il concetto di appartenenza familiare e slegato lo stesso dalla trasmissione del cognome secondo le antiche regole.
Nei suoi post vedo una preferenza, un auspicio purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) contraddetto dai fatti. Lei, in base a quella preferenza, sostiene che Lorenzo non abbia legittimazione a parlare a nome della famiglia Medici; la legge invece, sulla base del nuovo ampio principio di filiazione (adozione o discendenza
ex foemina), al contrario glielo consente. Tutto qua.
Lei confuta la tesi secondo cui, in ossequio al “diritto del sangue”, le virtù o i meriti di un capostipite possano trasmettersi ai suoi discendenti maschi. Io personalmente condivido la sua tesi. Ma non posso non notare quanto questa confutazione strida con l’affermazione secondo cui l’ormai celeberrimo principe Ottaviano sia l’unico legittimato a parlare a nome della famiglia. Mi spiego: se insieme al cromosoma Y non viene tramandata nessuna qualità “umana” può anche, senza di essa, non tramandarsi alcuna appartenenza familiare. Se questo cromosoma Y non ha capacità di trasmettere, quantomeno in maniera automatica, nulla se non se stesso, allora il
driver dell’appartenenza non è il dna ma una convenzione. Torniamo al punto di partenza: le convenzioni, e le leggi ad esse collegate, sono cambiate. Facciamocene una ragione.
San Paolo.
Dico a
Guido5, che mi invita a leggere i versetti da me citati nel contesto più ampio della Lettera ai Romani, due cose:
1) è chiaro che ogni essere umano, nella ottica di S. Paolo, è sottomesso a Dio e servo di Esso. Ma è altrettanto chiaro come da Dio emani la gerarchia sociale. Perciò, come il Re è sottomesso a Dio, così il Principe è sottomesso al Re, e così via. La morte di Paolo è, sì, frutto di un abuso di potere. Ma quel potere, ingiustamente utilizzato (non ossequioso cioè della legge divina), veniva, nella sua stessa ottica, innegabilmente da Dio. Non è questa mite accettazione del sopruso segno estremo di obbedienza alla autorità costituita da Dio e, in ultima istanza, di sottomissione a Dio stesso?
2) come vede ho accolto il suo invito. Ora però lei abbia la bontà di accogliere il mio. Sia il n. del Catechismo da lei citato, in cui si afferma che l’origine dell’autorità è divina (se pur temperata dal rispetto della legge di Dio), sia il n. 2238 e ss. sottolineano la necessità di sottomissione all’autorità. I superiori sono «rappresentanti di Dio, che li ha costituiti ministri dei suoi doni» (n. 2238).
pierluigic ha scritto:lei crede veramente in queste parole ?
Le credo divinamente ispirate come dovrebbe un altro miliardo e trecento milioni di cattolici sparsi nel mondo.