da VictorIII » venerdì 26 marzo 2021, 16:38
Hi Pierlu I hope that you’re doing well. Please excuse the English. About the Carnesecchi in the documents of Caltanissetta, I’m not so sure the 19th century engineer was born Caltanissetta as I’ve never seen them in the ecclesiastical or riveli as citizens of the city after the Fra Giovanni and his brother Antonio in the first decades of the 1600s. (And even then I don’t think Antonio owned any city property, only the feudal lands outside of the city. I think from the early to mid 1600s they are living in Palermo, not Caltanissetta). But we do know that the 16th and 17th century Carnesecchi you found in Palermo were also the same that came from Florence to Sicily (or at least Fabio d’Angelo asserts as much in his thesis and I have found his work to be exhaustive and most complete and reliable). We find them in the archives of Palermo and also Caltanissetta with much illuminating news.
As we see, it was not entirely uncommon for some branches of important families from other regions to come to the exotic Sicily for feudal management and perhaps just as the Carnesecchi, so too the Medici displaced a small branch on the island long ago.
As for the ing. Giuseppe Carnessechi found in the 19th century for the contract at Palazzo Barrile, (two centuries after the known Florentine branch is first seen for their interactions with the Moncada and possessions within the feudal state of Caltanissetta), it is entirely plausible that he is a descendant of the Antonio living in the 17th century (and mentioned below), whose branch I think transfers to Palermo (assuming they remained in Sicily). So maybe it is that the ing. Giuseppe was born in Palermo.
You probably have already seen the following news from the sage Fabio d’Angelo. But in case not. His thesis is an absolutely beautiful text rich with detail.
Fabio d’Angelo
LA CAPITALE DI UNO STATO FEUDALE CALTANISSETTA NEI SECOLI XVI E XVII
(TESI DI DOTTORATO DI RICERCA universita degli studi di catania)
Giustiniano e Giorfino, del resto, non erano nuovi alla gestione di estesi possessi feudali, come dimostra il fatto che insieme avevano già acquisito in arrendamento la contea di Modica di Giovanni Alfonso Enriquez de Cabrera (1604)91 e gli stati di Cammarata e San Giovanni (Gemini) di Ercole Branciforte (1606)92. Giorfino aveva persino acquistato nel 1605 il feudo Marcatobianco, in qualità di cessionario dei soggiogatari di don Annibale Valguarnera, barone di Godrano93.
A causa probabilmente delle numerose incombenze, i due amministratori non riuscirono però a gestire da soli i beni feudali dei Moncada e ben presto accolsero un terzo socio, il fiorentino Giovanni Carnesecchi del fu Paolo. Questi, dopo la morte di Giorfino, avvenuta nel 1608, portò avanti l’amministrazione insieme a Vincenzo Giustiniano, intanto succeduto nella quota di società del defunto. Proprio nel 1608 è possibile riscontrare le prime difficoltà economiche: nel mese di settembre, infatti, il procuratore e contatore Aurelio Tancredi, giunto a Palermo «per dare recapito alli subiugatarii», riferiva alla duchessa di Montalto che «li administratori son resolutti di non far pagare le mezatte [le mesate, gli alimenti mensili; ndr] in Spagna al principe mio signore, per il mancamento che hano havutto nell’introitti di Caltanixetta [...] e non mancano qui nella logia persone che dicano che il principe mio signore non paserà più inanti per mancamento di denari, poiché detti administratori han detto plubicamente che hano scritto in Spagna non le siano pagatte le mezatte»9
Il livello di esposizione debitoria raggiunto dai Moncada (in relazione ai contratti di cambio) alla fine degli anni Trenta viene fotografato da un interessante consuntivo compilato dal contatore Giovanni Battista Li Ciambri226: in esso figurano ben sedici creditori227 per contratti fondati, per la maggior parte, su interessi del 7% (solo in due casi la percentuale di interesse risulta equivalente all’8%; in un solo caso invece, rispettivamente, all’11% e al 12%), cosicché Luigi Guglielmo Moncada, che già, all’inizio dello stesso decennio, aveva regolarizzato il saldo dei debiti contratti dal padre Antonio «per causa di diversi cambii et interessi» sborsando onze 67297.9.16228, nel 1638 si trovava ad essere debitore di onze 21017.26.1 di capitale e di onze 1197.14.7 di interessi arretrati. Tra i creditori citati nella relazione del 1638 erano compresi, inoltre, diversi nomi di finanziatori verso i quali la Deputazione del Regno risultava debitrice in conto del donativo straordinario di trecento mila scudi ...
227 Si riportano di seguito i nomi: don Andrea Giglio, don Girolamo Giglio, don Ludovico Giglio, don Carlo Giglio, Virginia Arculano, don Leonardo Arculano, Placido Arculano, dottor Barnaba Scozzari, donna Laura Opezinghi, donna Alessandra Maria Gisulfo, Melchiorre Giglio, Giovanni Andrea Carriola, Martino Drago, donna Giovanna Beatrice Aragona, don Giovanni Graffeo, Antonio Carnisecchi
Dal canto loro, Dini e Carnesecchi si opposero denunciando, a fronte delle ingenti somme pagate ai soggiogatari, un sostanziale difetto di introiti registrato nel corso dell’amministrazione e dovuto a diverse motivazioni: tra le altre, quella per cui, alla data del 1607, gli stati di Paternò, Adernò e Centorbi si trovavano già ingabellati a Erasmo Cicala, il quale, per avere anticipato al principe 25000 scudi, si rifiutava di versare ulteriori somme. Malgrado le ragioni contrarie addotte da Antonio Moncada, questi non poté esimersi dal sollecitare una revisione dei conti dell’amministrazione degli anni 1608-13, al fine di valutare l’entità del credito rivendicato dai due soci. Questo fu in ultima istanza definito per un ammontare di oltre 75000 onze, di cui 69840 onze dovute per somme pagate dagli amministratori ai soggiogatari del principe.
«Non avendo il duca dette somme e dubitando potergli venire distratti li stati»100, egli stabilì di intaccare la base feudale del suo patrimonio, smembrando alcuni feudi del territorio di Caltanissetta per venderli, con patto di ricompra e con la concessione della giurisdizione civile e criminale, ai due soci, per un prezzo complessivo di 45820 onze: Giovanni Carnesecchi (creditore, per la sua terza parte di società, di 23280 onze) acquistò pertanto i feudi Grottarossa, Giurfo e la tenuta di Campisotto; Giovanni Battista Dini (creditore, per i due terzi di società ereditati da Vincenzo Giustiniano, di 46560 onze) ottenne invece, insieme agli altri coeredi, i feudi Graziano, Gallidoro, Deliella, Grasta, Gebbiarossa, la tenuta di Frusculi con la vigna e i mulini di Carrigi101. A differenza degli eredi di Vincenzo Giustiniano, Carnesecchi non si investì dei feudi acquisiti, ma preferì abbandonare il secolo, facendosi frate riformato sotto il nome di fra Giovanni da Firenze, e lasciare i suoi beni al fratello Antonio, a sua volta membro dal 1622 del principale organo consiliare del Granducato di Toscana, il Senato dei Quarantotto.
Asp, Am, b. 3022, cc. 332r-339r, Cedola responsoria ad instantiam di don Giovanne Moncada pro Giovanne Carnisecchi, settembre 1613 (Appendice, doc. 24).
Cfr. D.M. Manni, Il senato fiorentino o sia notizia de’ senatori fiorentini dal suo principio fino al presente, Firenze, 1771, p. 36. Sulla figura di religioso di Giovanni Carnesecchi, tra l’altro assurto nel 1614 al ruolo di coadiutore della nobile Compagnia della Carità di Palermo (F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia cit., vol. IX, pp. 283-284), si veda il profilo biografico tracciato in Sigismondo da Venezia, Biografia serafica degli uomini illustri che fiorirono nel francescano istituto per santità, dottrina e dignità, Tipografia di G.B. Merlo, Venezia, 1846, pp. 583-584, dove si legge: «fino all’età di 40 anni visse nel secolo tutto intento a procacciarsi meriti con le buone operazioni e con le larghe limosine che, essendo ricco, dispensava ai poveri. Frequentava in Palermo le chiese de’ nostri riformati, spendendovi alcune ore in orazione. Tratto dal buon odore delle virtù di que’ religiosi, risolvé di dare il proprio nome alla riforma [...]. Mostrò gran fervore di spirito e carità nel tempo in cui la peste incrudeliva a Palermo circa l’anno 1624».
97 Tra gli altri, Giuseppe Varisano, gabelloto del feudo Grottarossa, il quale subì il pignoramento e il sequestro del frumento in suo possesso, di cui aveva già provveduto a vendere 1300 salme a due mercanti palermitani; ivi, b. 3581, cc. 32r-34r, Cedula notificatoria, iniuntoria et protestatoria pro Ioseph Varisano contra Ioannem Carnisecchi. L’atto non è datato.
Reassunto della venditione del 1614 per Graziano e Gallidauro, 28 aprile 1614.
Avendo il duca di Montalto don Antonio di Aragona eletto amministradori irrevocabili durante il termine di anni 9 don Antonio Giustiniano ed il quondam Angelo Iorfino del principato di Paternò, contado di Adernò e Centorbi e Caltanissetta e baronie di Melilli, Albavilla, Malpasso ed altri, con patto che in qualunque caso di molestia che venissero a soffrire detti di Giustiniano e Iorfino potessero aggire contro detto duca don Antonio e suoi beni. Durante però la pacifica amministrazione si obbligarono a pagare ogn’anno a detto duca in Madrid scuti 36000 di mese in mese, alla ragione di scuti 3000 al mese, più sborzare al detto duca onze 40000, cioè onze 32397.26.15 nella città di Palermo ed onze 7602.3.5, da pagarsi alli soggiogatari per decorsi dell’anni passati, con riportarne cessione di raggioni e con facoltà di prendere a’ cambi dette onze 40000, per doversi pagare detta somma nel termine di detti anni nove, cioè primo loco le somme meno privilegiate, o’ siano l’interessi e lucri di cambi, e secondo loco le somme più privilegiate. Si obligorono inoltre durante detto termine d’anni 9 pagare alli soggiogatari delegandi nel contratto di affitto, per le somme e rate in esso espressate, con riportarne cessione di raggioni e se li diede la facoltà di prendere a’ cambi anche dette somme. Intervenendo in detto atto per cautela dell’affittatori donna Aloisia Luna e Vega, duchessa di Bivona e donna Maria Aragona e La Cerda, principessa di Paternò, don Cesare, donna Aloisia, donna Isabella Moncada, fratelli e sorelle di detto duca, come meglio per detto contratto stipolato a 12 settembre 1607.
Indi fu accolto in socio di detto arrendamento don Antonio Giovanne Carnisecchio per una terza parte. Sudetti stati furono amministrati sino alla morte di detto quondam Angelo e furono pagate diverse somme a detto duca e ad altre persone di suo ordine siccome ancora alli creditori soggiogatari, riportandone la cessione di ragioni. Morto detto Angelo, furono nel suo testamento eletti l’amministradori della sua eredità e proseguirono il Vincenzo Giustiniano ed il sudetto di Carnisecchi l’amministrazione di detti stati, rimettendo diverse somme a detto duca e pagando li suggiogatari a cambi ed interessi contro detto duca. In questo stato di cose, li amministradori dell’eredità di detto Angelo Iorfino rinunciarono a Giustiniano la loro terza parte di detto arrendamento. Morì Vincenzo Giustiniano e scrisse suo erede Annibale suo figlio legittimato, sostituendoli in caso di morte senza figli Giovanni Battista Dini, Luca Grimaldi, Domenico e Placido di Giovanni e in amministratori di detti stati detto di Carnisecchi e Giovanni Battista Dini. Morto Annibale, si avverò il caso della sostituzione e fu proseguita l’amministrazione da detti di Dini e Carnisecchi.
Ecc ecc ecc
Excuse the long diversion!
Best wishes