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piero59 ha scritto:Qualcosa circa gli argomenti di questa discussione può essere reperita nel libro di Carmelo Arnone, "Ordini cavallereschi e cavalieri", 1954, pp.224-225, nel capitolo intitolato "Patologia degli ordini".
cassinelli - venerdì 22 aprile 2011, 11:26 ha scritto:Anche Carmelo Arnone fa propria questa tesi.
Nel suo volume "Ordini Cavallereschi e Cavalieri", Edizioni Ciarrocca, Milano, 1954, l'Arciconfraternita viene trattata alle pagg. 224-225.
Riporto un estratto di quanto scritto: "...Occupandomi incidentalmente nel 1949* di questa istituzione, ebbi a formulare il quesito in virtù di quali poteri il re di Napoli ebbe a fare le concessioni del Cavalierato di Malta onorario. Avanzai allora l'ipotesi dubitativa che confermo: forse perché l'Ordine era vassallo del re di Sicilia, e quindi di quello di Napoli, per avere avuto concesso in feudo l'isola di Malta."
*L'Arnone aveva trattato dell'Arciconfraternita nel suo studio "I titoli nobiliari calabresi ed il loro trapasso durante i secoli", Rivista Araldica, 1949, pag. 239, nota 135.
Carmelo Currò ha scritto:Al contrario, l’assalto turco del 1565, respinto grazie ai prodigi di valore dei Cavalieri e della popolazione maltese, e la vittoria salutata come declino dell’offensiva ottomana nel Mediterraneo, dimostravano che l’Isola costituiva un Ente sovrano perché in grado di difendersi con le proprie forze.
Carmelo Currò ha scritto:La pretesa nasce dunque dall’ipotesi secondo cui il Re Carlo III avrebbe conferito alla Confraternita calabrese la possibilità di potersi fregiare delle decorazioni dell’Ordine di Malta in virtù della sovranità che egli deteneva sull’Isola, e al fatto che i Cavalieri stessi andavano perciò considerati suoi vassalli, avendola ricevuta in feudo da Carlo V. Ipotesi del tutto invalida, in quanto, sia pur nato come atto di concessione territoriale, non si deve dimenticare che l’Ordine veniva considerato un Ente internazionale, e che le condizioni previste al momento della consegna facevano invece già pensare ad una pratica cessione di un territorio che forse la Corona spagnola non avrebbe potuto continuare a mantenere. Ma in realtà su quali fondamenta si poggiavano i diritti di Carlo III?
Delehaye ha scritto:da notare che il Reale Assenso del Re Carlo V (di Sicilia) e VII (di Napoli) di Borbone sarebbe (sic!) datato 28.11.1735, riconfermato dal Re Ferdinando III (di Sicilia) e IV (di Napoli) di Borbone in data 29.02.1776/21.03.1777/10.04.1777... ma la "controversia" tra l'Ordine di San Giovanni di Rodi e Malta e Carlo di Borbone sarebbe datata 1752/1754.
riguardo alla "controversia" su Malta, tra l'Ordine di San Giovanni e Carlo di Borbone, riporto un brano d'epoca:
Di assai maggior rilevanza fu la controversia, ch’ebbe l’istesso Re di Napoli col Gran Maestro di Malta allora D. Emmanuele de Pinto Portoghese. A bene intenderla conviene prender la cosa un poco più da lungi. Quando l’Imperadore Carlo V dopo la perdita fatale di Rodi, accordò ai Cavalieri di S. Gioanni Gerosolimitano l’Isola suddetta di Malta, la dette loro in feudo come Re di Sicilia, colla riserva del pagamento di un falcone ogni anno, ed il gius patronato alla nomina del Vescovo, mediante la presentazione di tre Soggetti da farsi dal Gran Maestro, uno dei quali fosse scelto ad occupar quella Sede. Due secoli era o scorsi, nel tempo che la Sicilia era stata provincia della Spagna, e dell’Austria, senza che si fosse pensato a far valere questi diritti. Credette il presente Sovrano aver sufficienti motivi di doverne far caso, onde inviò ordine al Vescovo di Siracusa (n.d.r.: Arcivescovo Francesco Testa) di passare a Malta a farvi una visita pastorale. Obbedì il Prelato, vi mandò prima i suoi Visitatori, che mal ricevuti si accinse a portarvisi egli stesso; ma gli convenne senza metter piede a terra seguitar l’esempio dei suoi Delegati. O di proprio moto, o per regio comando vi si portò una seconda volta, senza riportarne maggior frutto, che un cattivo complimento dal Gran Maestro, che gli fece intimare, che se si fosse più accostato all’Isola, l’avrebbe fatto ricevere a colpi di cannone. Intanto i Cavalieri erano ricorsi alle Corti Borboniche, a quella di Vienna ed al Papa per interporre i loro uffizi, affine d’indurre S.M. Siciliana a desistere da un impegno, ch’eglino qualificavano come un attentato senza motivo, e senza fondamento. I Monarchi secolari non vollero mischiarsi in questa contesa. Solo il S. Padre ne scrisse al Re per indurlo a desistere, e da Malta fu a tale effetto mandata a Napoli il Balì Duegos per esporre alla Corte, che non contrastavasi il diritto nella sua origine, ma, che questo doveva assolutamente riputarsi se non estinto, e nullo, almeno inefficace, e derogato dal lungo tratto di tempo, di cui non se n’era fatto uso. Tutto fu vano. Fermo sempre Don Carlo nella sua risoluzione, minacciò sequestri alle Commende in caso di ulteriore opposizione, e mantenne da lì a poco la sua parola, con proibir anche ai suoi sudditi ogni comunicazione con Malta. I Cavalieri allora trovandosi angustiati dal non poter più aver viveri dalla vicina Sicilia dovettero rivolgersi alla Sardegna. Ch’è assai più lontana, e dovettero ascrivere a buona sorte di aderire alla volontà del Re col rimettere l’affare nelle mani del Papa. S.S. dopo molti maneggi, e progetti venne finalmente a capo di condurlo a felice termine, nel modo che può più chiaramente risultare dalla lettera della S.S. al Re e dalla risposta di quest’ultimo, che sono le seguenti.
“Noi siamo stati lungamente irresoluti se dovevamo o no scrivere a V.M. sulla nota controversia di Malta. Temevamo da una parte, che la nostra condotta non potesse essere a grado di V.M. di cui per altro desideriamo sempre l’intiera approvazione; dall’altra parte poi considerando sempre che l’Ordine di Gioanni Gerosolimitano gode la prerogativa di Ordine di Religione, Noi come Capo supremo ci siam veduti in obbligo di adoperare a suo vantaggio tutto ciò, che può da Noi dipendere. Ma ci pareva poi, che tacendo potesse la M.V. sospettare in Noi diffidenza verso la di lei persona. In tale stato di cose dopo aver rivolte le nostre preci a Dio, di cui, sebbene immeritevoli, sosteniamo le veci in terra, ci presentiamo a V.M. a pregarla vivamente col più intimo del cuore in qualità di Vicario di Gesù Cristo, ch’è l’Autore della vera pace, di ridonare la di lei buona grazia alla Sacra Religione di Malta, togliendo tutte le difficoltà, ed ostacoli incontrati nella passata disavventura. V.M. può interamente, e perfettamente assicurarsi, che un atto sì generoso di Cristiana, e Real Clemenza non dovrà, nè potrà giammai recare il menomo pregiudizio per qualsivoglia motivo in cosa alcuna, che se le appartenga, e specialmente in quei capi, che dettero luogo alle passate contese. Noi ci siamo altra volta in qualità di Principi Secolari impiegati presso V.M. per ottenere grazia a pro dei due Cavalieri di Malta Antinori, e Chigi, che videro sequestrare le rendite delle Commende, che possedevano nel Regno di Napoli, e la M.V. secondando i moti della bontà, di cui ha fatto sempre uso verso di Noi, esaudì le nostre istanze. Conosciamo benissimo, che il nuovo favore, che ora le chiediamo è di gran lunga maggiore di quello già ottenuto; ma sentiamo in Noi nel tempo istesso la disparità infinita, che passa tra un Principe secolare (che in simile qualità ricorremmo in quel tempo a V.M.) e la suprema dignità di Vicario di G.C., di cui, benchè indegnamente, andiamo adorni. Come tali ora Noi ci indirizziamo a V.M., e crederemmo di sinistramente pensare del nostro carissimo figlio il Re delle due Sicilie, se un sol momento dubitassimo, che volesse negarci il contento di una favorevole risposta. Con questa aspettativa dunque annunziamo a V.M. tutte le immaginabili prosperità ec.” (n.d.r.: Papa Benedetto XIV)
“Qualunque cosa provenga da parte di V.S. vale ad impegnar totalmente la mia più seria attenzione. E’ questo un principio, che mi sta si profondamente scolpito nel cuore, talchè penetrato dalle vivissime istanze di V.S. col mezzo della veneratissima sua de’ 26 dello scorso mese di Novembre (n.d.r.: 1754), sul proposito delle differenze che ho con l’Ordine di Malta, mi sono sentito disposto ad avere tutti i riguardi per una intercessione, che deggio venerare per tanti titoli. Inerendo dunque alla proposizione di V.S. ho già dati i miei ordini ad effetto che sia riaperto il commercio de’ miei Stati coll’Isola di Malta, ed ho tolto il sequestro fatto ai beni di quella Religione. Da questa mia disposizione traggo una doppia ricompensa, cioè quella di potermi lusingare di conseguire una piena approvazione dal canto di quest’Ordine; e l’altra ancora di appagare totalmente le brame di V.S. Vicario di G.C., Capo visibile, e Pastore universale della Chiesa, e che per muovermi a questa determinazione ha usate le più tenere, ed obbliganti istanze; e mi persuado quindi nel tempo istesso, che troverà nella mia maniera di procedere, la più certa prova del desiderio, che nutro di dimostrare a V.S. il profondo rispetto, e la stima, che avrò in qualsivoglia tempo per l’eminenti sue qualità, e per la dignità sua sublime, e grandissima, mi lusingo parimente, siccome la S.V. me ne assicura, nella graziosa sua Lettera, che la risoluzione da me presa non cagionerà punto la minima ombra di pregiudicio ai miei diritti; ma che anzi all’incontro quelli, che possiedo sull’Isola, e sulla Chiesa di Malta, quali essi siano, rimarranno in tutta la loro forza, e nel proprio vigore. In tanto ec.” (n.d.r.: Carlo di Borbone VII di Napoli e V di Sicilia)
A questa contestazione ne tenne dietro subito un’altra. Aveva il Papa accordato a richiesta del Re Carlo una pensione di 6mila scudi all’Infante D. Ferdinando suo figlio terzogenito, sopra il vacante allora Arcivescovado di Monreale in Sicilia già gravato di altri pesi, e pensioni. Per questo motivo intendeva il S. Padre di averla concessa infra tertium; al contrario pretendeva la Corte di Napoli che dovesse considerarsi oltre il terzo: ultra tertium. L’affare tuttochè in se stesso di non molta importanza, pure divenne delicato, e si portò tanto avanti, che si differì nel 1753 la presentazione solita del cavallo bianco, o Chinea a S.S. nella vigilia della festa de S.S. Apostoli Pietro e Paolo.
fonte: Francesco Becattini, Storia del Regno di Carlo III di Borbone Re Cattolico delle Spagne e dell'Indie corredata degli opportuni documenti, Giambattista Ferrando Librajo, Genova, 1790, pagg. 248-255
https://play.google.com/books/reader?id ... =GBS.PA248
Carmelo Currò ha scritto:L’arcivescovo di Ravenna gode del titolo di Principe ed esarca di Ravenna; l’arcivescovo di Salerno aveva i feudi di Montecorvino e Olevano; chi è a capo del famoso ente musicale S. Cecilia ha il titolo di Conte palatino, tanto per menzionare alcuni esempi.
Alessandra Malesci Baccani - Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri - http://www.governo.it/.../malesci_ordin ... ede_it.pdf ha scritto:Nel secolo scorso i Papi istituirono tre Onorificenze, definite erroneamente Ordini, ma più esattamente erano Onorificenze di merito oggi non più in vigore, più precisamente del Moretto, di Santa Cecilia, e degli Avvocati di San Pietro.
La prima fu conferita da Papa Pio VII il 23 Settembre 1806 riservata al Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di San Luca, considerata un’Onorificenza accademica più che un’onorificenza equestre, cessò nel 1870.
Il 15 Novembre del 1847 fu fondato l’Ordine di Santa Cecilia per i Dirigenti dell’Accademia musicale pontificia, tale Ordine cessò nel 1870.
Nel 1878, dopo la presa di Roma, fu costituito l’Ordine degli Avvocati di San Pietro per la tutela giuridica della Santa Sede e si costituì un gruppo di giureconsulti cui Pio IX accordò la suddetta denominazione.
Delehaye ha scritto:ma con molte imprecisioni e voli pindarici che nulla hanno a che fare con la questio...
1) si prende per punto focale che non si può spiegare con categorie odierne accadimenti antichi... e poi che fa? una carrellata "storica" di accadimenti... che andrebbero presi uno per uno... e non gettati in un unico calderone, come "prova". si critica qualcosa e si utilizzano le stesse "armi"... vabbè...
2) la difesa di Malta del 1565...Carmelo Currò ha scritto:Al contrario, l’assalto turco del 1565, respinto grazie ai prodigi di valore dei Cavalieri e della popolazione maltese, e la vittoria salutata come declino dell’offensiva ottomana nel Mediterraneo, dimostravano che l’Isola costituiva un Ente sovrano perché in grado di difendersi con le proprie forze.
come se su oltre 6.100 combattenti "cristiani" i Cavalieri di Malta fossero stati la maggioranza o la totalità. E no! su 6.100 combattenti i Cavalieri di Malta furono solo 550. ed i 200 siciliani? i 400 spagnoli? gli 800 italiani? gli oltre 3.000 maltesi isolani?
3) la disputa Borbone vs. Ordine di Malta sulla "proprietà" dell'isola...Carmelo Currò ha scritto:La pretesa nasce dunque dall’ipotesi secondo cui il Re Carlo III avrebbe conferito alla Confraternita calabrese la possibilità di potersi fregiare delle decorazioni dell’Ordine di Malta in virtù della sovranità che egli deteneva sull’Isola, e al fatto che i Cavalieri stessi andavano perciò considerati suoi vassalli, avendola ricevuta in feudo da Carlo V. Ipotesi del tutto invalida, in quanto, sia pur nato come atto di concessione territoriale, non si deve dimenticare che l’Ordine veniva considerato un Ente internazionale, e che le condizioni previste al momento della consegna facevano invece già pensare ad una pratica cessione di un territorio che forse la Corona spagnola non avrebbe potuto continuare a mantenere. Ma in realtà su quali fondamenta si poggiavano i diritti di Carlo III?
Cosa? Ma Currò lo sa che la cd. disputa avvenne qualche decenni dopo?Delehaye ha scritto:da notare che il Reale Assenso del Re Carlo V (di Sicilia) e VII (di Napoli) di Borbone sarebbe (sic!) datato 28.11.1735, riconfermato dal Re Ferdinando III (di Sicilia) e IV (di Napoli) di Borbone in data 29.02.1776/21.03.1777/10.04.1777... ma la "controversia" tra l'Ordine di San Giovanni di Rodi e Malta e Carlo di Borbone sarebbe datata 1752/1754.
riguardo alla "controversia" su Malta, tra l'Ordine di San Giovanni e Carlo di Borbone, riporto un brano d'epoca:
Di assai maggior rilevanza fu la controversia, ch’ebbe l’istesso Re di Napoli col Gran Maestro di Malta allora D. Emmanuele de Pinto Portoghese. A bene intenderla conviene prender la cosa un poco più da lungi. Quando l’Imperadore Carlo V dopo la perdita fatale di Rodi, accordò ai Cavalieri di S. Gioanni Gerosolimitano l’Isola suddetta di Malta, la dette loro in feudo come Re di Sicilia, colla riserva del pagamento di un falcone ogni anno, ed il gius patronato alla nomina del Vescovo, mediante la presentazione di tre Soggetti da farsi dal Gran Maestro, uno dei quali fosse scelto ad occupar quella Sede. Due secoli era o scorsi, nel tempo che la Sicilia era stata provincia della Spagna, e dell’Austria, senza che si fosse pensato a far valere questi diritti. Credette il presente Sovrano aver sufficienti motivi di doverne far caso, onde inviò ordine al Vescovo di Siracusa (n.d.r.: Arcivescovo Francesco Testa) di passare a Malta a farvi una visita pastorale. Obbedì il Prelato, vi mandò prima i suoi Visitatori, che mal ricevuti si accinse a portarvisi egli stesso; ma gli convenne senza metter piede a terra seguitar l’esempio dei suoi Delegati. O di proprio moto, o per regio comando vi si portò una seconda volta, senza riportarne maggior frutto, che un cattivo complimento dal Gran Maestro, che gli fece intimare, che se si fosse più accostato all’Isola, l’avrebbe fatto ricevere a colpi di cannone. Intanto i Cavalieri erano ricorsi alle Corti Borboniche, a quella di Vienna ed al Papa per interporre i loro uffizi, affine d’indurre S.M. Siciliana a desistere da un impegno, ch’eglino qualificavano come un attentato senza motivo, e senza fondamento. I Monarchi secolari non vollero mischiarsi in questa contesa. Solo il S. Padre ne scrisse al Re per indurlo a desistere, e da Malta fu a tale effetto mandata a Napoli il Balì Duegos per esporre alla Corte, che non contrastavasi il diritto nella sua origine, ma, che questo doveva assolutamente riputarsi se non estinto, e nullo, almeno inefficace, e derogato dal lungo tratto di tempo, di cui non se n’era fatto uso. Tutto fu vano. Fermo sempre Don Carlo nella sua risoluzione, minacciò sequestri alle Commende in caso di ulteriore opposizione, e mantenne da lì a poco la sua parola, con proibir anche ai suoi sudditi ogni comunicazione con Malta. I Cavalieri allora trovandosi angustiati dal non poter più aver viveri dalla vicina Sicilia dovettero rivolgersi alla Sardegna. Ch’è assai più lontana, e dovettero ascrivere a buona sorte di aderire alla volontà del Re col rimettere l’affare nelle mani del Papa. S.S. dopo molti maneggi, e progetti venne finalmente a capo di condurlo a felice termine, nel modo che può più chiaramente risultare dalla lettera della S.S. al Re e dalla risposta di quest’ultimo, che sono le seguenti.
“Noi siamo stati lungamente irresoluti se dovevamo o no scrivere a V.M. sulla nota controversia di Malta. Temevamo da una parte, che la nostra condotta non potesse essere a grado di V.M. di cui per altro desideriamo sempre l’intiera approvazione; dall’altra parte poi considerando sempre che l’Ordine di Gioanni Gerosolimitano gode la prerogativa di Ordine di Religione, Noi come Capo supremo ci siam veduti in obbligo di adoperare a suo vantaggio tutto ciò, che può da Noi dipendere. Ma ci pareva poi, che tacendo potesse la M.V. sospettare in Noi diffidenza verso la di lei persona. In tale stato di cose dopo aver rivolte le nostre preci a Dio, di cui, sebbene immeritevoli, sosteniamo le veci in terra, ci presentiamo a V.M. a pregarla vivamente col più intimo del cuore in qualità di Vicario di Gesù Cristo, ch’è l’Autore della vera pace, di ridonare la di lei buona grazia alla Sacra Religione di Malta, togliendo tutte le difficoltà, ed ostacoli incontrati nella passata disavventura. V.M. può interamente, e perfettamente assicurarsi, che un atto sì generoso di Cristiana, e Real Clemenza non dovrà, nè potrà giammai recare il menomo pregiudizio per qualsivoglia motivo in cosa alcuna, che se le appartenga, e specialmente in quei capi, che dettero luogo alle passate contese. Noi ci siamo altra volta in qualità di Principi Secolari impiegati presso V.M. per ottenere grazia a pro dei due Cavalieri di Malta Antinori, e Chigi, che videro sequestrare le rendite delle Commende, che possedevano nel Regno di Napoli, e la M.V. secondando i moti della bontà, di cui ha fatto sempre uso verso di Noi, esaudì le nostre istanze. Conosciamo benissimo, che il nuovo favore, che ora le chiediamo è di gran lunga maggiore di quello già ottenuto; ma sentiamo in Noi nel tempo istesso la disparità infinita, che passa tra un Principe secolare (che in simile qualità ricorremmo in quel tempo a V.M.) e la suprema dignità di Vicario di G.C., di cui, benchè indegnamente, andiamo adorni. Come tali ora Noi ci indirizziamo a V.M., e crederemmo di sinistramente pensare del nostro carissimo figlio il Re delle due Sicilie, se un sol momento dubitassimo, che volesse negarci il contento di una favorevole risposta. Con questa aspettativa dunque annunziamo a V.M. tutte le immaginabili prosperità ec.” (n.d.r.: Papa Benedetto XIV)
“Qualunque cosa provenga da parte di V.S. vale ad impegnar totalmente la mia più seria attenzione. E’ questo un principio, che mi sta si profondamente scolpito nel cuore, talchè penetrato dalle vivissime istanze di V.S. col mezzo della veneratissima sua de’ 26 dello scorso mese di Novembre (n.d.r.: 1754), sul proposito delle differenze che ho con l’Ordine di Malta, mi sono sentito disposto ad avere tutti i riguardi per una intercessione, che deggio venerare per tanti titoli. Inerendo dunque alla proposizione di V.S. ho già dati i miei ordini ad effetto che sia riaperto il commercio de’ miei Stati coll’Isola di Malta, ed ho tolto il sequestro fatto ai beni di quella Religione. Da questa mia disposizione traggo una doppia ricompensa, cioè quella di potermi lusingare di conseguire una piena approvazione dal canto di quest’Ordine; e l’altra ancora di appagare totalmente le brame di V.S. Vicario di G.C., Capo visibile, e Pastore universale della Chiesa, e che per muovermi a questa determinazione ha usate le più tenere, ed obbliganti istanze; e mi persuado quindi nel tempo istesso, che troverà nella mia maniera di procedere, la più certa prova del desiderio, che nutro di dimostrare a V.S. il profondo rispetto, e la stima, che avrò in qualsivoglia tempo per l’eminenti sue qualità, e per la dignità sua sublime, e grandissima, mi lusingo parimente, siccome la S.V. me ne assicura, nella graziosa sua Lettera, che la risoluzione da me presa non cagionerà punto la minima ombra di pregiudicio ai miei diritti; ma che anzi all’incontro quelli, che possiedo sull’Isola, e sulla Chiesa di Malta, quali essi siano, rimarranno in tutta la loro forza, e nel proprio vigore. In tanto ec.” (n.d.r.: Carlo di Borbone VII di Napoli e V di Sicilia)
A questa contestazione ne tenne dietro subito un’altra. Aveva il Papa accordato a richiesta del Re Carlo una pensione di 6mila scudi all’Infante D. Ferdinando suo figlio terzogenito, sopra il vacante allora Arcivescovado di Monreale in Sicilia già gravato di altri pesi, e pensioni. Per questo motivo intendeva il S. Padre di averla concessa infra tertium; al contrario pretendeva la Corte di Napoli che dovesse considerarsi oltre il terzo: ultra tertium. L’affare tuttochè in se stesso di non molta importanza, pure divenne delicato, e si portò tanto avanti, che si differì nel 1753 la presentazione solita del cavallo bianco, o Chinea a S.S. nella vigilia della festa de S.S. Apostoli Pietro e Paolo.
fonte: Francesco Becattini, Storia del Regno di Carlo III di Borbone Re Cattolico delle Spagne e dell'Indie corredata degli opportuni documenti, Giambattista Ferrando Librajo, Genova, 1790, pagg. 248-255
https://play.google.com/books/reader?id ... =GBS.PA248
4) e dato che menzioniamo delle cose... menzioniamole giuste!Carmelo Currò ha scritto:L’arcivescovo di Ravenna gode del titolo di Principe ed esarca di Ravenna; l’arcivescovo di Salerno aveva i feudi di Montecorvino e Olevano; chi è a capo del famoso ente musicale S. Cecilia ha il titolo di Conte palatino, tanto per menzionare alcuni esempi.Alessandra Malesci Baccani - Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri - http://www.governo.it/.../malesci_ordin ... ede_it.pdf ha scritto:Nel secolo scorso i Papi istituirono tre Onorificenze, definite erroneamente Ordini, ma più esattamente erano Onorificenze di merito oggi non più in vigore, più precisamente del Moretto, di Santa Cecilia, e degli Avvocati di San Pietro.
La prima fu conferita da Papa Pio VII il 23 Settembre 1806 riservata al Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di San Luca, considerata un’Onorificenza accademica più che un’onorificenza equestre, cessò nel 1870.
Il 15 Novembre del 1847 fu fondato l’Ordine di Santa Cecilia per i Dirigenti dell’Accademia musicale pontificia, tale Ordine cessò nel 1870.
Nel 1878, dopo la presa di Roma, fu costituito l’Ordine degli Avvocati di San Pietro per la tutela giuridica della Santa Sede e si costituì un gruppo di giureconsulti cui Pio IX accordò la suddetta denominazione.
così giusto per le prime cose che saltano all'occhio...
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